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La biografia

La sua agiata famiglia di piccoli proprietari terrieri non vantava precedenti artistici. Ciò nonostante, appena undicenne, fu avviato alla pittura. Allievo di Enrico Cavalli alla Rossetti Valentini dal 1882-83 al 1887-88, nel 1889 lasciò la Valle per iscriversi alla Scuola Libera del Nudo di Venezia.
Rientrato, sposò a soli vent’anni Giuseppina Bona ed ebbe cinque figli, di cui due morti precocemente, Anna (1896-1912) e Francesco (1897-1917), ucciso in guerra. La famiglia fu per lui centrale punto di riferimento e ne condizionò le vicende, anche a scapito della carriera.
Trascorse i mesi dal gennaio al settembre 1896 a Lione, insieme a Carlo Fornara, vivendo di ritratti e approfondendo dal vivo la lezione di pittura realista, lionese e francese, già appresa a Santa Maria dal comune maestro Cavalli.

 L’intenso periodo è documentato da un diario che, trascritto dal figlio Paolo con la collaborazione di Gianni Pizzigoni, è pubblicato nel catalogo della mostra del 1986 a Verbania-Pallanza, curata da Aurora Scotti. Ciolina continuerà a dedicarsi al ritratto intimista, insieme alla natura morta, i due generi tipicamente legati alla tradizione vigezzina, che, dopo il 1940, saranno centrali nel suo lavoro.
Nel frattempo, l’invio d’esordio alla Prima Triennale di Brera del 1891 è rifiutato, e dovrà aspettare il 1897, la Terza Triennale, per il successo de Il filo spezzato, prova impegnativa d’implicito intento simbolista e tecnica quasi divisionista: un divisionismo sui generis che abbandonerà di lì a poco, preferendo invece una maniera a impasto più largo, ancorata ai precetti di Cavalli.
A differenza di Fonara, Ciolina non si legò alla Galleria di Alberto Grubicy. Il che, se da un lato gli consentì maggior libertà, dall’altro finì per limitarne la carriera all’ambito lombardo-piemontese. E nonostante, affermato ritrattista mondano, tenesse studio a Milano, dal 1898 al 1914, restò estraneo al dibattere dei cenacoli in voga, né socio della Famiglia Artistica né della Permanente, pur presente, nelle sale di quest’ultima, a due mostre annuali, nel 1909 e 1911.

Milano o no, il suo luogo e fonte primaria d’ispirazione rimase la Valle Vigezzo. Nella vita dei valligiani è radicata la sua iconografia: una scelta esistenziale vicina a quella di Pellizza da Volpedo. Di origini sociali assai simili, entrambi guardarono al francese Jules Bastien-Lepage (1848-1884), che aveva colpito Pellizza nell’ottobre 1889, all’Exposition Universelle di Parigi, e che Ciolina conosceva soprattutto dalle riproduzioni. L’intento comune era tradurre i volti e la realtà quotidiana della propria gente in una sorta di epopea della vita agreste natia, iscrivendosi, se pur tardivamente, nella lunga tradizione realista della pittura contadina. Pellizza doveva andare sino in fondo alle implicazioni stilistiche ed estetiche del divisionismo; Ciolina avrebbe presto elaborato un fare colorista, con pennellate che si dissolvono nel tessuto pittorico al servizio di composizioni basate su un solido disegno, in cui, almeno per le grandi tele, si valse anche dell’aiuto della fotografia.

Non espose molto, ma sempre in contesti importanti: due Triennali di Brera, 1897 e 1900; Esposizione Nazionale di Torino del 1898; Esposizione Internazionale di Belle Arti per l’inaugurazione del Valico del Sempione, 1906; VII Biennale di Venezia, 1907; Esposizione Universale di Bruxelles, 1910.
Potendo contare sui profitti agricoli, sulle committenze di ritratti e, più tardi, sul sostegno di mecenati, Ciolina conquistò, per quanto sofferta, un’autonomia economica che gli permise assoluta indipendenza artistica. Fu consigliere di Alfredo Giannoni, così che gli si devono molti pezzi della Raccolta che oggi costituisce il nucleo centrale del Museo del Broletto di Novara. Per la villa di Vizzola Ticino, l’ingegner Gianni Caproni gli commissionò il celebre Ritorno dall’alpe, 1920.